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giovedì 7 gennaio 2010

DAL NIGER A NOI, PAURA NUCLEARE


La compagnia francese Areva ammette di aver contaminato il villaggio di Akokan, situato presso le sue miniere di uranio. Si tratta della società a cui è affidato lo sviluppo delle nostre centrali atomiche


In attesa della primavera, quando apprenderemo i nomi dei siti dove sboccerà il nuovo nucleare italiano, ci si può guardare intorno per prendere confidenza con i pericoli che corriamo e con l'identità di coloro ai quali stiamo per affidare la nostra sicurezza.
Si chiama Areva la compagnia energetica francese incaricata di avviare la "rinascita nucleare" nel nostro Paese.
Nel Niger, tra i più grandi produttori di uranio, possiede due miniere dove sono impiegate 1.600 persone. è di ieri la notizia che la società ha ammesso di aver contaminato il villaggio di Akokan, situato nei pressi dei due centri estrattivi. Un outing che arriva a breve distanza dalla spedizione di Greenpeace che nel novembre scorso ha visitato sia le miniere sia i centri abitati. Già dal 2003 erano emersi indizi di contaminazione ad Akokan e nel 2007 si sono riscontrati livelli di radioattività fino a cento volte oltre il livello di fondo.
A nulla è valsa la bonifica che Areva aveva annuciato nel 2008: gli attuali livelli di contaminazione raggiungono le cinquecento volte. «Quello che si sospettava all'epoca ha trovato conferma - spiega Alessandro Giannì, responsabile delle campagne di Greenpeace -. Areva ha smaltito i rifiuti radioattivi nella maniera più comoda: impiegandoli nella costruzione di strade che vengono utilizzate dalla popolazione. Ora ha ricominciato a pulire i siti indicati da Greenpeace, ma ovviamente l'affidabilità dei padroni del nucleare francese è ai minimi storici». Un bel biglietto da visita che il nostro Governo farà forse finta di non vedere.
L'accordo tra Enel e Edf prevede che gli impianti italiani saranno sviluppati dall'Areva: centrali Epr di terza generazione che garantiscono 1.600 megawatt e "elevati standard di sicurezza".
A questo preoccupante segnale dall'Africa basta aggiungere un noto precedente nostrano per convincersi del fatto che l'incubo nucleare sia qualcosa di davvero poco remoto. «Ricordiamao quanto avvenuto per le miniere toscane di cinabro - continua Giannì -. Nei decenni scorsi i "rosticci", cioè i materiali di risulta dell'estrazione del mercurio del Monte Amiata, sono stati utilizzati per costruire strade nel circondario della provincia di Grosseto, contaminando il suolo. E in seguito è arrivato l'allarme per la contaminazione dei pesci della costa toscana. Nonostante la chiusura delle miniere, la contaminazione dei bacini della zona si è rivelata comunque molto allargata. Il concetto è sempre quello: sbarazzarsi di materiale pericoloso non può significare riutilizzarlo a discapito della popolazione che entra ugualmente in contatto diretto con esso».
Il fatto che Areva abbia ammesso i propri errori poco ci consola, visto che il suo compito di "rilanciare" l'atomica in Italia è un'inquietante certezza.

Diego Carmignani da Terra

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