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mercoledì 27 gennaio 2010

NUCLEARE: STOP REGIONI A GOVERNO, SCELTA SITI E' INCOSTITUZIONALE

(ASCA) - Roma, 27 gen - La Conferenza delle Regioni ha espresso un parere negativo al decreto legislativo con il quale si avvia la procedura per l'individuazione dei siti per la realizzazione delle centrali nucleari. Lo ha annunciato il presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, uscendo dalla riunione dei 'Governatori' al Cinsedo. Il parere e' stato approvato a maggioranza col parere contrario delle Regioni Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia.
'Siamo contrari al nucleare, e' una scelta non positiva che non ha esiti immediati e che impatta negativamente su scelte di politica energetica gia' fatte' ha spiegato De Filippo, sottolineando anche che 'la legge e' incostituzionale tanto che undici regioni hanno gia' impugnato il provvedimento davanti alla Consulta'.
271406 GEN 10

lunedì 25 gennaio 2010

Il Governo ha impostato sull’informazione la strategia di acquisizione del consenso sul ritorno al nucleare. Lo dice espressamente l’art 25 della nuova legge : “Opportuna campagna di informazione alla popolazione con particolare riferimento alla sicurezza e alla economicità”. Sull’argomento il discrimine tra informazione e propaganda è molto labile e corposissimi sono gli interessi in campo. Ma importantissimi elementi d’informazione sull’argomento sono taciuti.
Le “cose non dette” sul nucleare riguardano la responsabilità civile e il sistema di misurazione dell’energia nucleare. Il regime giuridico internazionale per il settore poggia su due strumenti: lo Joint Protocol adottato nel 1988 e il Protocollo alla Convenzione di Vienna, entrato in vigore nel 2003. La Convenzione di Bruxelles nel 2004 ha stabilito nuovi limiti per la responsabilità di coloro che gestiscono attività nucleari, pari a 700 milioni di euro. I costi di Chernobyl ammontano a centinaia di miliardi e quindi il limite alla responsabilità equivale a stabilire che sono gli Stati a sopportare gli oneri in caso d’incidente. Negli Usa il Price-Anderson Act pone a carico della collettività la responsabilità civile per eventuali incidenti. Incredibilmente anche la direttiva europea 35/2003/CE sul danno ambientale esclude il settore nucleare dall’ambito di applicabilità della direttiva stessa. Nel 2003 un Rapporto (Solutions for environment economy and technology) della DG Ambiente (UE), stima che Electricitè de France (EdF), se dovesse sottoscrivere un’assicurazione sui rischi dei reattori, il costo del Kwh nucleare crescerebbe di tre volte! Nel gennaio 2005 la Corte dei conti francese ha scoperto che a fronte di 13 miliardi di euro di accantonamenti dichiarati da Edf per lo smantellamento delle centrali nucleari e per la gestione delle scorie radio attive, esistevano solo 2,3 miliardi di attivi effettivamente dedicati allo scopo. Questi esempi mostrano come il nucleare sia un’industria in cui è facile scaricare i costi sul futuro e sulla collettività. Si dimostra altresì che l’industria nucleare non potrebbe competere sul mercato con altre fonti di energia se dovesse farsi carico dei costi assicurativi. Sul sistema di contabilità il nucleare è considerato come una fonte primaria e questo consente di moltiplicare per tre il suo contributo rispetto a eolico, fotovoltaico e idrico. Questo equivale a considerare il calore scaricato nell’acqua o nell’aria come energia primaria e computata per il calcolo dell’incidenza dell’energia nucleare tra le varie fonti. Sembrano inutili tecnicalità ma consentono di “alterare” l’informazione quando si certifica che il nucleare incide globalmente per il 6% dell’energia primaria. In realtà il suo contributo è di un misero 2%! Una corretta informazione sul “nuovo” nucleare nel fare riferimento al costo del Kwh prodotto dal reattore in costruzione in Finlandia dovrebbe tener conto dei seguenti omessi importanti elementi: la produzione di energia elettrica è acquistata a prezzo predefinito da un pool d’imprese che ha consentito di ottenere sui crediti a lunga scadenza un rating da parte di Standard & Poors “BBB” e quindi un tasso di finanziamento irripetibile (2,6%).Nel finanziamento sono stati coinvolti anche due istituti di credito all’esportazione, la francese Coface e la Swedish Export Agency. Da notare che gli istituti per il credito all’esportazione sono d’istituzioni finanziarie pubbliche e governi e hanno come finalità il finanziamento a Paesi in via di sviluppo. Non si può coartare il consenso propalando la economicità del Kwh prodotto con il nucleare. Questa è propaganda, non informazione!

Erasmo Venosi da Terra

giovedì 21 gennaio 2010

I PIAZZISTI DEL NUCLEARE


Nel corso di un meeting promosso ieri da Enel e Confindustria Emma Marcegaglia ha lodato il ritorno all'atomo in Italia: «Un'operazione intelligente e necessaria». Nonostante il Mit calcoli un raddoppio del prezzo di questa tecnologia


Enel e Confindustria piazzisti del nucleare.
Ieri mattina, nel convegno "Supply chain meeting" che si è tenuto a Roma nella sede dell'associazione imprenditoriale, il duo formato dalla presidente Emma Marcegaglia e dall'ad della società energetica Fulvio Conti ha tentato di convincere il sistema industriale italiano che Il ritorno all'atomo in Italia è «un'operazione intelligente e necessaria» (Marcegaglia) e che le imprese nazionali devono accorrere per cominciare a prendere la pole position per la costruzione degli impianti nucleari, che potrebbero addirittura non costare nulla allo Stato.
«Se vi sarà certezza riguardo alla struttura dei ricavi, i progetti saranno finanziabili senza bisogno di sostegni pubblici», ha assicurato Conti chiedendo la fine della «cultura del no e della sindrome Nimby (not in my backyard)» che contagerebbe la politica, tanto che questa si sta rifiutando di dire con chiarezza, prima delle elezioni regionali, quali saranno i siti baciati dalla fortuna atomica.
I dubbi che stanno investendo il centrodestra (almeno nella temperie elettorale) invece non sfiorano la leader di Confindustria, che ha spiegato alla platea di imprenditori che la torta sarà ampia, anche più di quello calcolato: se si vuol fare il 25 per cento dell'elettricità italiana con l'atomo, «stiamo ragionando di ragionando di investimenti per 30 miliardi di euro e in questa fase di crollo degli investimenti è facile capire di quale opportunità stiamo parlando. Se riusciamo a fare sistema - ha spiegato - il 70 per cento di questa cifra andrà all'indotto italiano».
Calcoli che non paiono troppo accurati, almeno se ci si affida alle esperienze europee in corso e allo specifico della rinascita del nucleare italiano, battezzato da un patto Berlusconi- Sarkozy in cui era scritto nero su bianco che a fare la parte del leone sarebbe stata l'azienda francese di stato Areva, la stessa che è impegnata negli unici due reattori in costruzione in Francia e Finlandia.
Per la centrale di Olkiluoto, i tempi di costruzione si sono dilatati di 3 anni e i costi sono aumentati del 60 per cento. Per quella di Flamanville, i ritardi sono di due anni (ma è stata cominciata dopo, pian piano raggiungerà il record finlandese). Il Mit (Massachusetts Institute of Technology, uoa dei più prestigiosi centri di ricerca scientifica mondiale) ha calcolato che nel 2007, il costo del chilowatt nucleare era raddoppiato rispetto a quello che era solo quattro anni prima, salendo da 2mila a 4mila dollari. Ma la ricerca accademica è stata lasciata indietro dalla realtà: l'anno scorso Areva ha risposto a un bando di gara per la costruzione di una centrale in Canada e il costo del kilowatt raggiungeva già i 4.500 dollari: il governo di Ottawa ha pensato bene di tirarsi indietro.
Non appare quindi pleonastica la domanda di Legambiente: «Quali studi segreti in possesso del nostro Governo giustificherebbero il ritorno a questa tecnologia rischiosa e vetusta? Certo non le motivazioni economiche» ha commentato il presidente dell'associazione del cigno Vittorio Cogliati Dezza.
Il presidente dei Verdi Angelo Bonelli ricorda i siti individuati, confermati dalla notizie che arrivano dal movimento ecologista francese (Montalto di Castro, Borgo Sabotino, Trino Vercellese, Caorso, Oristano, Palma di Montechiaro, Monfalcone e Chioggia) e sfida il governo «a smentirci, rendendo nota la lista dei siti prima che si svolgano le elezioni regionali». «Il ritorno all'energia nucleare è un affare per pochi, ma un costo che ricadrà su molti, sull'intera collettività », dice Ermete Realacci, deputato Pd. «La soluzione energetica del nostro paese non passa per il ritorno all'atomo che, a questo stato di tecnologia comporta costi elevati, tempi molto lunghi, problemi legati allo smaltimento delle scorie. Il ministro Scajola spieghi ai cittadini con chiarezza come si pagheranno i costi di un ritorno all'energia atomica».

Simonetta Lombardo da Terra

martedì 19 gennaio 2010

Greenpeace: 'No al nucleare' maxistriscione all'Eur


Protesta, questa mattina a Roma, degli attivisti di Greenpeace contro la politica in favore del nucleare da parte dell'Enel che, secondo l'associazione, su questo tema "bleffa" le imprese. Gli attivisti, rende noto l'associazione, sono infatti saliti sul 'Colosseo Quadrato' all'Eur di Roma per dire 'Stop alla follia nucleare' mentre di fronte a loro, nel palazzo di Confindustria, Enel "imboniva le imprese italiane - afferma Greenpeace - presentando cifre discutibili sull'entità delle commesse per i lavori che riporterebbero l'Italia al suo passato nucleare".

Gli attivisti di Greenpeace hanno srotolato sulla facciata del Palazzo della Civiltà Italiana uno striscione di 300 metri quadrati con la scritta 'Stop alla follia nucleare, Stop Nuclear Madness', proprio mentre l'incontro era in corso. "Enel presenta il nucleare come un affare che per i due terzi è riservato alle imprese italiane - spiega Andrea Lepore, responsabile della campagna nucleare di Greenpeace - ma, a parte le norme sugli appalti di queste dimensioni che prevedono delle gare internazionali, gli impianti Epr proposti da Enel sono un affare solo per il costruttore francese a corto di ordinazioni e non certo per l'economia italiana".

Enel, sostiene l'associazione ambientalista, "cerca di imbonire le imprese italiane sostenendo che godranno del 70% degli investimenti necessari per costruire quattro reattori nucleari in Italia. La quota riservata alle imprese italiane, secondo Enel, sarebbe pari a 12 miliardi di euro, corrispondente alla parte non nucleare degli impianti". Invece, secondo i dati pubblicati dall'azienda elettrica francese Edf, alleata di Enel nel riportare il nucleare in Italia, rileva Greenpeace, "la quota degli investimenti per le parti non nucleari degli impianti Epr è pari al massimo al 40% del totale. La parte prevalente delle commesse andrebbe quindi alle imprese francesi e non a quelle italiane".

Secondo Greenpeace, dunque, "la propaganda di Enel sul nucleare continua, ma l'esperienza degli unici due EPR in costruzione in Finlandia e in Francia ha già ampiamente dimostrato che per questo tipo di impianti, ritardi, problemi nella sicurezza e costi fuori controllo non sono un rischio ma una regola".

da Repubblica.it
(19 gennaio 2010)

I GIORNI DEL NUCLEARE


Giorni caldi per il ritorno dell'atomo nel nostro Paese. Mentre al Senato inizia l'esame sulla disciplina per la localizzazione delle centrali, nelle stesse ore, in Confindustria i big dell'imprenditoria studiano come guadagnarci

Una settimana calda sul fronte del nucleare. E' quella appena iniziata, densa di appuntamenti verso l'annunciato ritorno dell'Italia all'energia prodotta dall'atomo, tra passaggi parlamentari, convegni degli industriali e una campagna elettorale che inizia ad entrare nel vivo.
Oggi, la Commissione industria del Senato inizia l'esame dello schema di decreto legislativo sulla "disciplina della localizzazione, realizzazione ed esercizio di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio, nonché delle misure compensative e delle campagne informative", che approderà giovedì anche alla Commissione bilancio della Camera.
Un provvedimento di iniziativa governativa, di cui sarà relatore il deputato mantovano della Lega Nord Giovanni Fava, il quale si è finora distinto per aver proposto modifiche costituzionali a favore delle scuole private, ma ora alza il tiro e punta a rivoluzionare la produzione di energia in Italia, in barba al referendum del 1987.
Intanto, le imprese sentono profumo di guadagni e ci si buttano a capofitto.
Sempre oggi, presso la sede nazionale di Confindustria, si terrà la giornata del Supply Chain Meeting - Progetto nucleare Italia, organizzata dall'associazione degli imprenditori e dall'Enel, per presentare alle imprese italiane «le informazioni utili per intraprendere il percorso di qualificazione necessario per operare nel settore». Un incontro che sarà concluso da una conferenza stampa congiunta della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, e dell'amministratore delegato di Enel, Fulvio Conti.
A spingere sull'acceleratore c'è anche una parte del mondo politico, in particolare la maggioranza di governo, anche se a livello locale alcuni candidati hanno difficoltà a sostenere la posizione "ufficiale": da Siviglia, dove partecipa al consiglio dei titolari dell'ambiente europei, il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo ha ribadito che il nucleare «è un'energia pulita e sicura, ed è assurdo che l'Italia ne sia rimasta fuori».
Sul fronte opposto i Verdi, che appoggiano ovunque candidati contrari all'atomo: «Il ritorno al nucleare è una follia, nonché un regalo alle grandi lobby economiche- commenta il presidente degli ecologisti, Angelo Bonelli - una grande speculazione finanziaria, che porterà all'aumento di bollette già oggi salate, visto che attualmente gli italiani pagano 400 milioni di euro l'anno per il decomissioning, la dismissione delle vecchie centrali».
Bonelli ribadisce che i Verdi «sono pronti al referendum, per il quale hanno già raccolto 30mila pre adesioni, pur di non consentire un ritorno al passato che sarebbe il definitivo azzoppamento dell'innovazione tecnologica, visto che verranno usati per il nucleare fondi che potevano essere dedicati alla ricerca».
Riguardo alle elezioni, il leader ecologista invita i presidenti di regione di centrosinistra "ad approvare prima del voto atti di legge che impegnino quei territori a non ospitare le centrali atomiche". In realtà, l'opposizione al nucleare esiste anche nelle regioni di centrodestra: infatti, il Wwf si rallegra del fatto che «la linea contraria alle modalità di individuazione dei siti trovi l'appoggio anche di regioni governate dal centrodestra», a testimonianza delle difficoltà ad applicare una scelta «meramente ideologica e affaristica».
Gli ambientalisti accusano l'esecutivo di non rispettare nemmeno il contenuto del decreto: secondo il testo, prima di assumere decisioni occorre definire un documento che indichi la consistenza degli impianti, la loro potenza e i tempi attesi per la realizzazione e messa in esercizio delle centrali.
La "strategia" doveva essere presentata entro giugno 2009, ma al momento ancora non ne esiste traccia.


Filippo Pala da Terra

lunedì 18 gennaio 2010

LA RIVOLTA DELLE REGIONI


Un documento degli assessori all'Ambiente boccia il decreto attuativo di dicembre sui siti e le compensazioni. Ora sono quattro le amministrazioni regionali del centrodestra a schierarsi contro l'atomo in giardino


Anche le regioni del centrodestra fanno lo sgambetto all'atomo in salsa Berlusconi.
Perché il decreto attuativo approvato a dicembre dal Consiglio dei ministri che individua le procedure di localizzazione delle centrali non tiene conto dei poteri delle Regioni e le bypassa apertamente in questa tornata normativa, ma anche perché non si costruiscono quattro impianti nucleari senza un piano energetico, senza un deposito per le scorie, senza un valido modello di valutazione ambientale.
Alla lista delle undici amministrazioni che lo scorso autunno erano ricorse alla Corte Costituzionale contro la legge di reintroduzione dell'atomo nel nostro paese che sostanzialmente scippava loro la possibilità di governo dei propri territori, si aggiungono oggi tre regioni di destra (Veneto, Sicilia e Sardegna) e la Campania che - per ragioni tecniche - non aveva fatto a tempo ad aderire al ricorso antinucleare.
La ripresa della campagna che tiene assieme vera e propria opposizione all'atomo e volontà di rimettere i puntini sulle i dei diritti e delle prerogative degli enti locali è avvenuta ieri (venerdì 15 gennaio), nella riunione coordinamento regionale all'ambiente capitanata dal coordinatore Silvio Greco, assessore della Calabria.
Dall'incontro è uscito un documento approvato da 15 regioni; oltre alle quattro ricordate, quelle già nella lista antinucleare: Basilicata, Calabria, Molise, Puglia, Lazio, Umbria, Toscana, Marche, Emilia Romagna, Liguria e Piemonte. Un documento che boccia il decreto attuativo di dicembre, partendo dal metodo. «Non ci piace», taglia corto Greco. «Undici regioni hanno impugnato la legge per evidenti situazioni di illegittimità costituzionale, ma l'esecutivo va avanti. La stessa legge recita, tra l'altro, che i decreti attuativi verranno adottati dai ministeri dello Sviluppo economico di concerto con l'Ambiente e i Trasporti, ma previo parere della Conferenza delle regioni e delle Commissioni parlamentari. Invece, arriviamo buon ultimi e con la scusa dell'urgenza e dei temi stretti, come ricorda una lettera del ministro Fitto al presidente del Senato. Il governo non rispetta non solo le competenze degli enti locali ma neanche le sue stesse leggi».
È dettagliato il no al decreto di dicembre: è stato «presentato con grande ritardo», «impedendo alle Regioni di poter intervenire», «marcando con ciò l'ennesimo vulnus al principio di leale collaborazione istituzionale»; «contempla le norme per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi senza fare menzione dello smaltimento delle scorie nucleari pregresse»".
Infine, la Valutazione di impatto ambientale strategico (VAS) «non tiene conto delle localizzazioni degli impianti», limitandosi a una procedura autorizzativa solo su parametri. «Non si capisce come si possa fare una valutazione di impatto ambientale a prescindere dall'ambiente interessato», ironizza Greco.
A dimostrare che qualcosa si sta muovendo nel centrodestra, la lettera inviata dall'assessore veneto Conta, in cui si sottolineano anche la scarsa cooperazione con le Regioni e la mancanza di fondi per il monitoraggio ambientale. «Ci sono questioni di metodo - chiarisce l'assessore regionale del Lazio Filiberto Zaratti - perché se la Consulta ci dà ragione sul decreto legislativo, decadono anche quelli attuativi: è fuori luogo che il governo insista. Poi ci sono delle questioni, anche più importati, di merito: le Regioni, rispondendo all'impegno preso da Kyoto e nelle direttive europee, stanno investendo centinaia di milioni nelle rinnovabili». «Insistiamo per un piano energetico nazionale. Perché si costruiscono quattro centrali e non sei o tre?», chiede l'assessore pugliese Onufrio Introna.
Ed è tranchant il giudizio del suo collega piemontese, de Ruggero: «Nella mia regione c'è l'80 per cento delle scorie della passata stagione nucleare. Manca il deposito nucleare nazionale definitivo. Noi stiamo stati disponibile, in maniera laica, a discutere della possibilità di un deposito delle scorie preesistenti, ma non siamo disponibili in alcun modo a discutere del deposito di quelle future»


Simonetta Lombardo da Terra

venerdì 15 gennaio 2010

NUCLEARE. 15 REGIONI SU 20 DICONO NO: 'SBAGLIATI MERITO E METODO'

(DIRE) Roma, 15 gen. - Si allunga e compatta la lista delle regioni che si oppongono al ritorno dell'energia nucleare in Italia. Oggi, in una riunione degli assessori regionali all'Ambiente, coordinata dal capofila Silvestro Greco, responsabile dell'Ambiente in Calabria e organizzata nella rappresentanza della Regione a Roma, e' stato presentato un documento sullo schema di decreto legislativo che ha avuto luce verde nel Consiglio dei ministri del 22 dicembre scorso, documento firmato da 15 regioni: 15 su 20, ormai.
Dunque, gli schieramenti: Silvestro Greco (Calabria), Filiberto Zaratti (Lazio), Nicola De Ruggiero (Piemonte), Onofrio Introna (Puglia) in rappresentanza delle 11 regioni che hanno firmato il ricorso alla Corte Costituzionale contro la legge 99/2009 ('legge Sviluppo') che attua la 'revanche nucleare' decisa dal Governo (Calabria, Basilicata, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Puglia, Liguria, Marche, Piemonte, Molise). A queste si aggiungono Campania, Sicilia, Sardegna, Veneto (quest'ultimo con una lettera ad hoc), mentre la Lombardia non si e' espressa.
Gli assessori all'Ambiente delle regioni ribelli all'atomo dicono in sostanza che il decreto attuativo di dicembre e' "stato presentato con grande ritardo", impedendo cosi' alle regioni di poter intervenire "marcando con cio' l'ennesimo vulnus al principio di leale collaborazione istituzionale".
Silvestro Greco, assessore all'Ambiente della Calabria e coordinatore degli assessori all'Ambiente delle regioni, sul metodo seguito dall'esecutivo per il ritorno all'atomo, e relativamente ai decreti attuativi, spiega che "il dlgs prevede che i decreti attuativi possano essere presi previo parere delle regioni e delle commissioni parlamentari competenti, dopodiche' il parere positivo del governo e' stato trasmesso senza il passaggio alle Regioni". Il ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, "nella sua lettera di accompagnamento ha giustificato il mancato passaggio con l'urgenza del provvedimento- stigmatizza Greco- insomma, questo governo non rispetta nemmeno le sue stesse leggi".
Ma gli assessori all'Ambiente delle Regioni lamentano anche come non vi sia alcuna intesa con l'esecutivo. Secondo Greco, infatti, "il governo si muove in assenza di un piano energetico nazionale", con le Regioni italiane che invece "stanno facendo uno sforzo enorme sulle energie alternative". Il decreto legislativo di dicembre, dice ancora l'assessore calabrese, "e' tutto contro la normativa vigente sulla partecipazione degli enti locali". Insomma, "si sta facendo 'un'azione di comando'- afferma Greco- e cio' si capice anche dal fatto che la Valutazione ambientale strategica dovrebbe essere svolta, secondo quel che dice il decreto, a prescindere dalla collocazione geografica dei siti, solo su parametri tecnici". Insomma, si fa una Vas per la centrale poi se la si realizza in Lombardia o in Sicilia vale ugualmente, e' il succo della denuncia di Greco.
Nel merito, invece, gli assessori regionali all'Ambiente avvertono che lo schema di decreto legislativo di dicembre contiene norme sullo stoccaggio dei rifiuti ma senza fare alcuna menzione dello smaltimento delle scorie pregresse, quelle del 'vecchio' nucleare italiano.
Nicola De Ruggiero (Piemonte) ricorda che "in Piemonte c'e' l'80% delle scorie della passata stagione nucleare, a Saluggia, Trino e Bosco Marengo, mentre manca il deposito nazionale per le scorie". L'ipotesi di un deposito nazionale definitivo, invece, "dovrebbe essere il punto centrale di qualunque politica nucleare". De Ruggiero quindi avverte: "noi come regioni abbiamo discusso in maniera molto laica, e siamo disposti a continuare, sul come mettere in sicurezza l'esistente, ma non discuteremo di un deposito per quello che non c'e', perche' siamo contari al modo in cui e' stata fatta la scelta di ritorno all'atomo".
Per Filiberto Zaratti (Lazio): "c'e' una questione di metodo: il decreto attuativo e' diretta discendenza del dlgs impugnato da 11 regioni. Se la Corte Costituzionale ci da' ragione, decadono assieme tutti quanti i decreti, ed e' quindi fuori luogo che il governo insista a produrne". Poi c'e' una questione di merito: "non si puo' sorvolare, come e' stato fatto, sul Piano energetico nazionale- segnala Zaratti- perche' di fronte al quadro del Protocollo di Kyoto e delle direttive dell'Unione europea, le Regioni si sono adeguate e stanno investendo centinaia di milioni di euro sulle fonti rinnovabili".
A proposito della questione del sito per i rifiuti del 'nucleare pregresso', dice Filiberto Zaratti, assessore all'Ambiente del Lazio, "a Borgo Sabotino la Sogin sta costruendo un deposito per i fanghi ed il boiler della centrale dismessa, ma la Regione Lazio non e' disposta a discutere di nucleare futuro". Cio', "non solo una questione di metodo- avverte Zaratti- il Lazio e' contrario al nucleare per questioni economiche, di sicurezza e per scelte energetiche di fondo".
Per Onofrio Introna (Puglia), infine, "quella di disattendere le regole e' la cifra di questro governo". La Puglia "ha gia' 3 ricorsi al Tar del Lazio contro le autorizzazioni rilasciate dal governo per prospezioni narine alla ricerca di idrocarburi- elenca- noi facciamo l'eolico ed il fotovoltaico, Brindisi e' il piu' importante polo energetico del carbone in Italia: quanta altra solidarieta' devono dimostrare i pugliesi al paese per il settore energetico?".

15:27 15-01-10

lunedì 11 gennaio 2010

ENERGIA, QUANTI SPRECHI. "INVESTIRE SULLA RICERCA"

Intervista A colloquio con Gaetano Borrelli, docente di Economia dell’innovazione. «Contrariamente a quanto si crede il nostro Paese è di gran lunga autosufficiente»

Mentre si acuisce lo scontro istituzionale fra Governo e Regioni sulla localizzazione delle centrali, si addensano ulteriori dubbi sull’effettiva opportunità economica ed energetica di investire in questo settore.
Incontriamo Gaetano Borrelli, ricercatore Enea e docente di Economia dell’innovazione e Valutazione delle politiche energetiche alla Sapienza di Roma.

Abbiamo bisogno del nucleare perché ci serve più energia? Non è esattamente così. Proprio come l’Occidente produce più cibo, che poi buttiamo, così produciamo più energia del necessario.
Contrariamente a quanto si crede, l’Italia è di gran lunga autosufficiente dal punto di vista energetico; le centrali sono, infatti, in grado di fornire una potenza massima di oltre 98 GW, mentre il Paese ha bisogno di 40/50 GW di potenza elettrica lorda istantanea.
Da alcuni anni a questa parte, causa la crisi, la richiesta di energia elettrica è pure in diminuzione.

Perché importiamo energia dall’estero, allora? L’Italia importa circa il 15% del proprio fabbisogno perché conviene. Le centrali atomiche francesi producono, per motivi di ottimizzazione tecnica, a ciclo continuo e la notte “svendono” la loro energia, che poi acquistiamo noi. E' una legge di mercato.

Le centrali nucleari ci consentirebbero di produrre energia più a buon mercato? Lo escluderei. E' palese che le economie di scala si realizzano costruendo molte centrali.

Alcuni obiettano, però, che produciamo energia da fonti che importiamo dall’estero: gas, petrolio, carbone. E' un’obiezione che non possiamo accogliere. Anche l’uranio dovrebbe essere importato. Poi, si tenga presente che, se in Europa ci fosse stato uno sviluppo del nucleare come è avvenuto in Francia, l’uranio sarebbe finito da trent’anni.

Il nucleare è un’energia pulita? Dal punto di vista delle emissioni di CO2 sì, almeno durante la fase di produzione di energia. Per il raggiungimento degli obiettivi 20+20+20 stabiliti dalla Commissione Barroso (entro il 2020 bisogna produrre un 20% di rinnovabili e ad avere un -20% di CO2, ndr), il nucleare non è stato considerato e un motivo ci sarà.

Vale la pena investire tutti questi soldi?
Direi di no: in termini di costi/ benefici, costa molto e non vi è la certezza di un buon raccolto, a meno che non si voglia investire sulla ricerca.
Con il referendum che abrogò il nucleare, si sospese anche la ricerca: quello fu un errore. Si potrebbe sostenere che il ritorno al nucleare sia un investimento in termini di ricerca: ma anche qui, ho la sensazione che si stia imboccando la strada sbagliata.
Se oggi iniziamo a costruire, fra 40 anni avremo centrali di terza, magari anche quarta generazione. Ma fra 30 anni, probabilmente, sarà pronta la fusione nucleare, che non utilizza l’uranio. All’Enea ci occupiamo di fusione, tra l’altro, e speriamo di ricevere finanziamenti.

A che serve fare centrali, allora?
Cantieri, posti di lavoro, stimolo per l’industria. La politica mette in moto processi economici. Il programma nucleare del nostro governo, lungi dal soddisfare un bisogno energetico, rendere l’energia più economica o innovare nella ricerca, è solo una politica keynesiana di stimolo. A vantaggio di “alcuni” gruppi industriali.

Ha senso puntare sulle rinnovabili?
Potrebbero non bastare, dicono gli scettici. Dal punto di vista degli usi civili, potrebbero bastare sicuramente. Produciamo un terzo dell’energia solare di Austria o Germania, con una quantità di giorni di esposizione solare pari al triplo. L’obiettivo dovrebbe essere l’uso razionale dell’energia associato al risparmio energetico. Abbiamo, ad esempio, centrali tradizionali molto efficienti dal punto di vista energetico, ma la rete non sembra essere all’altezza.

Alessio Postiglione da Terra

VECCHIO, COSTOSO E INQUINANTE. PERCHE' L'ATOMO E' UN AZZARDO


L'uranio si esaurirà in poche decine d'anni. Nel mondo molti Paesi non investono più in questa tecnologia. La resa delle centrali è bassissima. Ecco tutta la verità sul nucleare. E oggi (sabato 9) al via la mobilitazione di Verdi e ambientalisti


L' energia nucleare non salverà il pianeta.

L'umanità non potrà evitare i cambiamenti climatici intraprendendo il cammino del nucleare.
Di fatto questa tecnologia non può essere sviluppata nella quantità necessaria e nei tempi limitati di cui disponiamo oggi per salvare il clima.
I fondi stanziati in questo senso andranno solamente a scapito di opzioni più efficienti e adatte alle economie nazionali e agli interessi individuali.
Basata, come di fatto è, su menzogne e sussidi economici, questa fonte energetica è l'esatto contrario dello sviluppo sostenibile. I rifiuti permarranno per milioni di anni, con il rischio costante di incidenti e contaminazione, menzogne e rifiuto della democrazia: questo è ciò che si trova al centro dei programmi nucleari.

Tre argomentazioni sono spesso usate per difendere l'industria nucleare di fronte alle crisi che stanno minacciando il nostro pianeta: l'esaurimento di gas e petrolio, le necessità di sviluppo dei paesi del sud del mondo e i cambiamenti climatici.
Tali argomentazioni non reggono. Per cominciare, è semplicemente assurdo collegare il declino delle risorse di petrolio allo sviluppo del nucleare, dato che il petrolio viene utilizzato prevalentemente nel settore dei trasporti, un'area dove l'energia nucleare si usa molto poco. Inoltre anche le riserve di uranio si esauriranno in un futuro prossimo, forse persino prima della fine della vita operativa dei reattori, come attualmente previsto dall'industria nucleare.
Lo sviluppo su grande scala di sistemi di reattori in grado di risolvere tale problema al momento esiste solo su carta e anche secondo i calcoli della stessa industria nucleare tali nuove strutture saranno operative troppo tardi per poter influenzare il ritmo dei cambiamenti climatici. Questi nuovi reattori necessiterebbero inoltre di enormi quantità di plutonio per poter sostituire parte dell'uranio.
Siamo ancora lontani dalle "tecniche ecologicamente corrette" auspicate nel protocollo di Kyoto!
Per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo, non saranno in grado di utilizzare l'energia nucleare in nessun modo degno di nota, dato che la tecnologia che questa presuppone ha costi decisamente troppo elevati, si rivela inadatta alle situazioni locali, e in ogni caso è di applicazione troppo lenta.
Il secolo che si è appena aperto vede il nostro pianeta minacciato da gravi crisi: cambiamenti climatici, biosicurezza, esaurimento delle risorse collettive, carenza di cibo.
Perché oltre a tutto ciò dovremmo anche aggiungere l'enorme onere che comporta l'energia nucleare?

L'energia nucleare può salvare il nostro clima?

L'energia nucleare non è in grado di risolvere il problema dei cambiamenti climatici. Anche se vi investissimo tutte le nostre risorse, il potenziale limitato e l'elevato costo dell'energia elettrica derivante dal nucleare verrebbe comunque a limitare il totale delle emissioni non rilasciate.
Altre risorse, fonti di energia rinnovabile e - più nello specifico - misure di risparmio energetico rappresentano tutte un investimento decisamente meno rischioso su scala globale ma soprattutto offrono una risposta più efficace alla crisi che sta affrontando il nostro pianeta.
No, davvero, l'energia nucleare non può salvare il nostro clima.
Eccone le ragioni principali.

Elettricità non è sinonimo di energia.

La produzione elettrica rappresenta solamente una parte della produzione totale di energia. In Europa l'elettricità costituisce solamente il 6 per cento del consumo finale di energia. La parte rimanente viene utilizzata in trasporti, riscaldamento e a scopi industriali; aree fondamentali nel consumo del petrolio.
L'energia nucleare soddisfa solamente una piccola percentuale del fabbisogno totale di energia. Il dibattito nucleare si restringe ad un'area specifica - la produzione elettrica - che rappresenta solo il 6 per cento del problema energetico.

La produzione di energia basata sul nucleare rimane limitata se paragonata alla capacità di produzione dal carbone e dal gas.
Persino l'energia idroelettrica produce più elettricità a livello mondiale rispetto al materiale fissile. L'energia che si basa sul nucleare abbraccia approssimativamente il 17% della produzione mondiale totale di energia. Se le emissioni degli altri carburanti venissero ridotte significativamente seguendo il tasso di crescita attuale, l'industria nucleare dovrebbe costruire più di mille reattori nuovi (attualmente sono 440 quelli in funzione) entro il 2050, che comunque servirebbe solo, di fatto, a mantenere la produzione al livello attuale.

La produzione nucleare sta iniziando a diminuire.

Le nuove centrali energetiche proposte non saranno sufficienti a sostituire i reattori attuali che si calcola verranno chiusi in un prossimo futuro. Le centrali atomiche attualmente funzionanti sono già abbastanza vecchie (oltre i 22 anni). Anche se la Cina costruisse trenta nuove centrali atomiche nei prossimi vent'anni, esse si limiterebbero a sostituire il 10% dei reattori che devono essere smantellati a livello mondiale in questo lasso di tempo. I dati delle proiezioni dell'Agenzia internazionale per l'energia (Aie) giungono alla conclusione che esiste un declino relativo o assoluto nella produzione nucleare.
Il basso numero di vendite anticipate degli impianti a Cina, Usa e Europa influenzerà ben poco le dimensioni del problema: se si vogliono mantenere le 440 centrali nucleari attualmente funzionanti in tutto il mondo nel lungo periodo, devono avere luogo dieci vendite internazionali all'anno. Ciò si spinge decisamente oltre le proiezioni attuali.

Le riserve di materiale fissile sono limitate e non dureranno per sempre, dato che l'uranio radioattivo è un minerale fossile disponibile in quantità limitate.
Di fatto i reattori commerciali operano sull'uranio arricchito e hanno una bassa resa. Secondo le informazioni fornite dalla stessa Commissione per l'energia atomica (Aec), le riserve di uranio soddisferanno il fabbisogno mondiale solamente per un periodo limitato, specialmente se aumenta il tasso di consumo.
Le riserve attuali mondiali (basate su 80$/kg) sono stimate a 2.528 milioni di tonnellate. Pertanto le riserve di uranio costituiscono meno della metà delle riserve provate di petrolio come pure di gas. Ciò rappresenta "60 anni di carburante, se non si verificasse un ulteriore sviluppo della capacità nucleare - secondo le stime del colosso francese dell'energia Edf - e ancora meno se la costruzione del nucleare riprendesse".
La limitata disponibilità delle risorse di uranio è pienamente riconosciuta dall'industria che la utilizza come argomentazione per sviluppare sistemi autofertilizzanti e nuovi tipi di reattori di IV generazione.

Il fattore tempo è troppo limitato per ottenere l'energia nucleare "del futuro".

La nuova generazione di reattori che deve ancora essere sviluppata viene presentata di maggiore affidabilità ed efficienza termini di consumo d'uranio. Ciononostante l'accordo di Rio chiama le nazioni ad evitare "interferenze pericolose con il sistema climatico" e, più nello specifico, a stabilizzare le concentrazioni di gas a effetto serra "entro un margine temporale sufficiente".
Per limitare i rischi collegati sarà pertanto necessario ridurre l'aumento della temperatura a un massimo di 2 °C rispetto al periodo preindustriale.
Nella sua terza relazione l'Ipcc mostra che a questo livello, per abbassare la media dell'aumento della temperatura globale sarà necessario diminuire drasticamente le emissioni dei gas a effetto serra nei decenni futuri così da ridurre le emissioni dei Paesi in via di sviluppo a un quarto rispetto ai valori attuali.
È interessante notare come questa scadenza così vicina escluda qualsiasi contributo da parte dei reattori nucleari di IV generazione degli impianti di fusione nucleare.
Anche con un tempo di risposta di trent'anni nel miglior scenario possibile, la tecnologia nucleare del futuro, che assorbirà più di due terzi della spesa pubblica per il fabbisogno energetico in Europa, si troverà esclusa dall'essere una possibile soluzione ai cambiamenti climatici.

Non esiste un consenso reale a livello internazionale. L'energia nucleare si potrà sviluppare pienamente solo se ci sarà un consenso globale su questa forma di energia.
C'è ancora molto da fare in questo senso, dato che persino in Europa molti paesi scartano completamente l'elettricità generata con il nucleare o si stanno ritirando gradualmente da questo settore, come i belgi, spagnoli e tedeschi.
Le altre nazioni hanno dichiarato, quasi senza eccezione, una moratoria di fatto o tramite legge, ai nuovi progetti di costruzione.
L'assenza del consenso tra le nazioni del mondo ben si vede nel protocollo di Kyoto, che non fa riferimento alcuno all'energia nucleare.

Gli investimenti diretti all'energia nucleare rimangono più elevati rispetto a quelli necessari per altre soluzioni.
Se consideriamo il lasso di tempo che abbraccia i prossimi vent'anni, le misure di risparmio energetico saranno 5 volte più economiche rispetto alla produzione elettrica centralizzata basata sull'energia nucleare o altre risorse. Inoltre, il rischio finanziario associato all'energia nucleare aumenterà molto i costi per chiedere in prestito questa forma di energia al settore del mercato privato.

L'umanità ha possibilità di scelta.
Una lista di opzioni globali per risolvere il problema climatico (come segnalato dall'Oeko Institute a Darmstadt, Germania), mostra che il potenziale ultimo dell'energia nucleare come mezzo per triplicare tali risultati energetici a livello mondiale, risulterà in livelli di emissione di almeno 5 gigatonnellate (GT) di CO2, che corrisponde a un decimo della capacità disponibile. Se paragonate alle riduzioni necessarie per raggiungere l'obiettivo di limitare i cambiamenti climatici a livelli inferiori ai 2 °C sopra i livelli preindustriali, e cioè tra 25 e 40 GT da adesso al 2050, si nota come l'energia nucleare non sarà necessaria nemmeno nello scenario più ambizioso.
Pertanto quando parliamo di risolvere il problema a livello mondiale, l'energia nucleare si trasforma in un'opzione, non in un obbligo.

Non possiamo accettare "tutte le opzioni".

Alcune di queste non sono mutuamente compatibili; specialmente se poniamo da un lato la decentralizzazione della produzione con misure di risparmio energetico moderato e dall'altro l'energia nucleare.
Certamente l'energia nucleare presenta sia costi più elevati che aspetti incompatibili con uno sviluppo ottimizzato della tecnologia di cogenerazione e delle risorse decentralizzate. Inoltre le esperienze passate hanno mostrato come lo sviluppo dell'energia nucleare vada sempre di pari passo con il declino nelle pratiche di risparmio energetico.
Secondo il fisico nucleare Amory Lovins, autore del famoso "Fattore Quattro", "lo slogan abbiamo bisogno di tutte le opzioni non ha base analitica ed è falso; di fatto non possiamo permetterci tutte le opzioni".
Nella pratica attuale garantire la sopravvivenza dell'energia nucleare significa stanziare investimenti pubblici e privati non nelle opzioni più economiche ma in quelle che sono destinate a generare una perdita, oltre a presentare il maggior numero di difetti.
Consideriamo inoltre che grazie ai settori del risparmio energetico e delle fonti di energia rinnovabile possono essere creati molti più posti di lavoro rispetto all'industria nucleare.
I cambiamenti climatici ci obbligano a ripensare i nostri schemi di consumo e l'approccio al risparmio energetico; occorre trovare delle misure che infliggano il minor danno possibile creando la maggior quantità di impiego possibile.

Le emissioni delle centrali atomiche non sono insignificanti.

Questo soprattutto per quanto riguarda l'intero processo dalla costruzione alla fase nucleare stessa.
Durante il suo ciclo vitale la centrale atomica rilascia approssimativamente un 20% di emissioni prodotte da apparecchi a gas di ultima generazione, che è relativamente poco.
Ciononostante, occorre anche segnalare che le centrali atomiche, normalmente con un regime operativo particolarmente rigido, necessitano dell'appoggio della centrale elettrica sostenuta dall'impianto di energia termica durante i periodi di carico di punta, e questo significa utilizzare centrali alimentate a carbone che rilasciano considerevoli quantità di gas a effetto serra.
Inoltre la sensibilità nucleare ai cambiamenti climatici pone questioni in merito ai cambiamenti sui flussi dei corsi d'acqua e le inondazioni.

Le fonti di energia rinnovabile superano l'energia nucleare.

Di fatto la crescita in questo settore è molto più elevata sia rispetto a quella del petrolio che rispetto al nucleare.
Durante gli ultimi dieci anni il tasso di crescita delle fonti di energia rinnovabile in tutto il mondo ha superato notevolmente l'incremento registrato nell'uso del nucleare. La produzione nucleare mondiale è in fase di stagnazione a circa 2.500 TWh dal 1999. Perfino le forme di energia rinnovabile e decentralizzata superano la produzione nucleare.
La capacità nucleare pertanto è destinata a declinare anche se confrontata con le alternative ecologicamente corrette e innovative.
Nel caso della Cina, che viene spesso citata come probabile cuore dell'espansione nucleare, perfino l'energia solare sta iniziando a recuperare terreno su quella nucleare. In Cina i soli caloriferi ad acqua stanno già sostituendo l'equivalente della metà della capacità di generare energia del nucleare ed entro il 2020 si calcola che questa tecnologia starà dando gli stessi risultati dei 30 reattori attualmente proposti dall'industria cinese.


A cura di Gianpaolo Silvestri da Utensili 4, Accendi l'energia verde, (di Monica Frassoni). Con il contributo di Marie-Anne Isler-Beguin

giovedì 7 gennaio 2010

DIETRO IL NUCLEARE, IL NODO DELLA DISPONIBILITA' DELL'URANIO

Un elemento fondamentale nel dibattito sul ritorno al nucleare in Italia è stato oggetto di marginale discussione quando non di superficiale trattazione: le disponibilità effettive di uranio. Una fonte autorevolissima sull’argomento è la Technology roadmap for generation IV nuclear energy systems, presentata dagli Stati Uniti nel 2002 e sottoscritta dai 10 Paesi partecipanti al programma della Generazione 4. Si tratta di un insieme di criteri per ottenere un reattore che sia sicuro (bassissima probabilità d’incidente ed eliminazione del piano di emergenza per la popolazione), economico e non proliferante. Nel documenti Usa c’è un grafico che pone in evidenza il motivo per cui, per assicurare un futuro alla tecnologia nucleare civile, è necessario sviluppare la filiera dei reattori veloci autofertilizzanti, quelli che utilizzano l’uranio naturale per produrre un combustibile chiamato plutonio in quantità superiore a quella consumata. Gli attuali reattori utilizzano nella stragrande maggioranza un particolare tipo di uranio che copre il fabbisogno (senza riprocessamento) fino al 2030, se si considerano le riserve note, o al massimo fino al 2060 considerando le riserve speculative (probabili o possibili). Stupisce la superficialità dell’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica e della Nea, l’Agenzia per l’energia nucleare, che nello studio che quantifica le risorse di uranio, il cosiddetto Red Book, certificano le disponibilità di uranio. Incidentalmente va detto che tra le tipologie di reattori della Generazione 4 vi è la riproposizione di alcuni sviluppati senza successo negli scorsi anni (Msr, Gfr, Sfr, Vutr). Prescindendo da questi dubbi resta l’evidente dato che nessuna di loro ha l’obiettivo di realizzare centrali in tempi brevi e di taglia funzionale alle condizioni vincolanti dei sistemi elettrici liberalizzati. Il dato su cui riflettere è l’entità dell’investimento necessario per il ritorno al nucleare. Ritorno che dipende dall’esito positivo della realizzazione dei reattori futuri ignorando consapevolmente l’esauribilità delle risorse di uranio, economicamente e termodinamicamente sfruttabili. La sorprendente affermazione dell’estraibilità del metallo dall’acqua del mare cozza con i costi da sostenere ma soprattutto per la quantità di energia necessaria per tale impresa, che è superiore a quella ottenuta dalla fissione dell’uranio estratto. Le riserve conosciute hanno concentrazioni variabili tra i 2 chilogrammi in una tonnellata di roccia a 1 per 10 tonnellate, divise tra “facile” e “difficile” estrazione. Nello studio condotto dagli olandesi Storm Van Leeuwen e Smith emerge che la quantità di energia da spendere per estrarre e lavorare l’uranio eccede quella ottenibile nei reattori ogni volta che dal giacimento si estraggono 3 chilogrammi di uranio lavorando 10 tonnellate di roccia. Il 40 per cento delle riserve è detenuto da Canada e Australia che, agli attuali ritmi di consumo, coprirebbero per un paio di decenni il fabbisogno delle centrali europee e americane. La restante parte di uranio è detenuta da Paesi come la Russia, il Niger e il Kazakhstan, mentre l’85 per cento è gestito dal cartello delle “sette cugine”. E non irrilevante osservare che gli impianti di arricchimento dell’uranio sono in mano a quattro società: Areva, Urenco, Rosatom e Usec. Circa un terzo dell’uranio usato oggi proviene da stock militari esistenti e in via di esaurimento. Calcolare al di là di ogni altra considerazione, la convenienza economica del nucleare su un prezzo dell’uranio stabile è un azzardo inaccettabile per il nostro Paese.
Erasmo Venosi da Terra

DAL NIGER A NOI, PAURA NUCLEARE


La compagnia francese Areva ammette di aver contaminato il villaggio di Akokan, situato presso le sue miniere di uranio. Si tratta della società a cui è affidato lo sviluppo delle nostre centrali atomiche


In attesa della primavera, quando apprenderemo i nomi dei siti dove sboccerà il nuovo nucleare italiano, ci si può guardare intorno per prendere confidenza con i pericoli che corriamo e con l'identità di coloro ai quali stiamo per affidare la nostra sicurezza.
Si chiama Areva la compagnia energetica francese incaricata di avviare la "rinascita nucleare" nel nostro Paese.
Nel Niger, tra i più grandi produttori di uranio, possiede due miniere dove sono impiegate 1.600 persone. è di ieri la notizia che la società ha ammesso di aver contaminato il villaggio di Akokan, situato nei pressi dei due centri estrattivi. Un outing che arriva a breve distanza dalla spedizione di Greenpeace che nel novembre scorso ha visitato sia le miniere sia i centri abitati. Già dal 2003 erano emersi indizi di contaminazione ad Akokan e nel 2007 si sono riscontrati livelli di radioattività fino a cento volte oltre il livello di fondo.
A nulla è valsa la bonifica che Areva aveva annuciato nel 2008: gli attuali livelli di contaminazione raggiungono le cinquecento volte. «Quello che si sospettava all'epoca ha trovato conferma - spiega Alessandro Giannì, responsabile delle campagne di Greenpeace -. Areva ha smaltito i rifiuti radioattivi nella maniera più comoda: impiegandoli nella costruzione di strade che vengono utilizzate dalla popolazione. Ora ha ricominciato a pulire i siti indicati da Greenpeace, ma ovviamente l'affidabilità dei padroni del nucleare francese è ai minimi storici». Un bel biglietto da visita che il nostro Governo farà forse finta di non vedere.
L'accordo tra Enel e Edf prevede che gli impianti italiani saranno sviluppati dall'Areva: centrali Epr di terza generazione che garantiscono 1.600 megawatt e "elevati standard di sicurezza".
A questo preoccupante segnale dall'Africa basta aggiungere un noto precedente nostrano per convincersi del fatto che l'incubo nucleare sia qualcosa di davvero poco remoto. «Ricordiamao quanto avvenuto per le miniere toscane di cinabro - continua Giannì -. Nei decenni scorsi i "rosticci", cioè i materiali di risulta dell'estrazione del mercurio del Monte Amiata, sono stati utilizzati per costruire strade nel circondario della provincia di Grosseto, contaminando il suolo. E in seguito è arrivato l'allarme per la contaminazione dei pesci della costa toscana. Nonostante la chiusura delle miniere, la contaminazione dei bacini della zona si è rivelata comunque molto allargata. Il concetto è sempre quello: sbarazzarsi di materiale pericoloso non può significare riutilizzarlo a discapito della popolazione che entra ugualmente in contatto diretto con esso».
Il fatto che Areva abbia ammesso i propri errori poco ci consola, visto che il suo compito di "rilanciare" l'atomica in Italia è un'inquietante certezza.

Diego Carmignani da Terra

martedì 5 gennaio 2010

VOTO NUCLEARE, NO GRAZIE!


In tempo di Befana ed estrazioni della lotteria, è bene ricordare che c’è in Italia un gioco a premi - si fa per dire, si tratta di qualcosa ben peggiore del carbone per i bambini cattivi - che nessuno vuole vincere. È la lotteria nucleare: dove sorgeranno le prossime quattro centrali nazionali? Le nomination, tra una indiscrezione e l’altra, il Grande Fratello le ha già fatte uscire a più riprese. Interessano almeno sette Regioni: il Lazio con Montalto e Borgo Sabotino; la Campania con Garigliano, il Piemonte con Trino Vercellese, l’Emilia Romagna con Caorso e poi la Sardegna con Oristano, la Sicilia con Palma e il Friuli con Monfalcone. E siamo solo all’osso delle supposizioni sulla localizzazione delle centrali, perché nel toto-siti è ampiamente entrata anche la Puglia, senza poi neanche sfiorare il tema delle scorie nucleari. Quindi in quattro delle aree più gettonate si vota a marzo: si tratta della metà delle otto regioni in cui si andrà al voto fra meno di tre mesi. Ma i cittadini non potranno decidere anche su questo, mettendo la scheda nell’urna. Un annuncio del governo ha chiarito che i siti saranno svelati solo dopo le elezioni, tra l’altro smentendo anche i tempi del decreto Scajola che prevede la definizione entro febbraio. Non ci pare che si possa decidere per chi votare senza che su questo punto ci sia - stavolta sì - un “contratto con gli italiani”. Chi abita a Roma può dare una preferenza elettorale prescindendo dal fatto che la sua città verrà presa o meno in una morsa atomica? Oggi come oggi, il Pdl non imposterà mai nelle Regioni la sua campagna elettorale sullo slogan “nucleare sì grazie, nel mio giardino”. E, nonostante la propensione filoatomica del suo leader e famiglia, neanche l’Udc di Casini e Caltagirone potrà farlo a cuor leggero. Ci manca di sapere che faranno - solo per fare i nomi sostanzialmente certi - Polverini nel Lazio, Cosentino o Caldoro in Campania, Cota in Piemonte e tutti gli altri, a scanso di equivoci, di depositi di scorie e di cambiamenti in corsa. In Puglia e Campania il centrosinistra ha parlato chiaro e forte con le norme contro le centrali e i siti di stoccaggio. Nelle altre regioni, dove era al governo, il centrosinistra è entrato nel ricorso alla Corte costituzionale. Ma è ora che il nucleare diventi battaglia politica di punta e anche motivo di alleanze elettorali. Se le forze politiche nicchiano, tocca a noi cittadini evitare l’imbroglio: chi darà via libera al nucleare lo dica oggi.
Simonetta Lombardo da Terra

lunedì 4 gennaio 2010

LE VACANZE NUCLEARI DI SARKOZY

Il Marocco dispone di uno dei potenziali eolici e solari più elevati al mondo. Ma il presidente francese cerca proseliti per vendere la “sua” tecnologia atomica anche a Egitto, Emirati Arabi e Giordania. E persino in Arabia Saudita

In occasione delle vacanze di fine anno il presidente francese Sarkozy e la sua sposa italiana sono partiti alla volta del Marocco. La coppia è stata ospite del re Mohammed VI per quella che è stata definita una “cena di lavoro”. Con straordinario tempismo, il 29 dicembre scorso il quotidiano marocchino Libération titolava in prima pagina: “Il reame non può che impegnarsi sulla via del nucleare per rispondere all’aumento dei suoi consumi”. Quando si dice la coincidenza. La Francia è oggi leader mondiale del nucleare civile e lo sarà per il prossimo decennio, grazie ai copiosi investime alla quale dipende per oltre il 70 per cento del suo fabbisogno elettrico. Ma ora per poter ammortizzare le enormi spese sopportate, Parigi deve vendere reattori e servizi a chiunque si dichiari disponibile. Per esempio al Marocco, che per far fronte al suo fabbisogno energetico dipende completamente dall’importazione di carburanti fossili. Grazie ai buoni uffici di Sarkozy il ministro marocchino dell’Energia, Amina Benkhadra, ha annunciato la costruzione di una centrale nucleare da 100 MW che sorgerà entro il 2020 sulla scorta dell’esperienza maturata col piccolo reattore sperimentale da 2 MW in funzione dal 2007. «Non abbiamo scelta », afferma Libération. Eppure, secondo gli esperti, il territorio marocchino dispone di uno dei potenziali eolici più elevati al mondo e affaccia sul Sahara, dove il sole la fa da padrone. Il giovane re Mohammed VI, che esprime un’attenzione inconsueta verso l’ecosostenibilità dello sviluppo, sta lavorando su una strategia energetica complessa basata sulla diversificazione delle fonti. Chiara la volontà di portare al 20 per cento entro il 2012 la quantità di energia prodotta da fonti rinnovabili, a partire dai quasi 1.300 MW di potenza idroelettrica attualmente disponibili, ai quali si aggiungerà presto la produzione di 200 microcentrali i cui siti sono stati da tempo individuati. Gli attuali 300 MW di potenza eolica installata dovrebbero aumentare fino a 1.200 MW entro il 2012. I 500 MW di solare saranno integrati, grazie al programma “Chourouk”, da 1.400 microcentrali fotovoltaiche inserite sulla rete a bassa tensione, a beneficio di 200mila famiglie. Lo sforzo prodotto in questa direzione è palese per chi voglia notare coppie di pannelli solari in funzione sui piccoli hotel all’ingresso delle Gole di Todra come anche su povere case di paglia nella campagna profonda intorno a Ouarzazate. Un ulteriore progetto, dal costo di oltre 6,2 miliardi di euro, è stato presentato lo scorso novembre e prevede la produzione di energia fotovoltaica su un totale di 10mila ettari in cinque diversi siti nel Sud del Paese, con una produzione che dovrebbe arrivare a 2.000 MW. Gli esperti non fanno mistero delle possibili connessioni di questa iniziativa col progetto Desertec, la gigantesca centrale solare privata da 400 miliardi di euro che si prevede di costruire su una superficie di 300 chilometri quadrati in pieno Sahara, col fine di garantire il 15 per cento del fabbisogno energetico europeo già nel 2025. A questo lavorano una ventine di multinazionali, tra le quali il colosso francese dell’energia Edf, la tedesca Siemens e la Deutche Bank. In parole, in tema di rinnovabili in Marocco c’è spazio per tutti, dai piccoli agricoltori ai grandi gruppi industriali. Ma la realtà dei fatti è nelle parole dell’ingegnere marocchino Chakib Boualou, professore all’Ecole des Mines di Parigi (che coincidenza!), intervistato su Libération: «Le energie rinnovabili non rappresentano oggi e senza dubbio non rappresenteranno nel domani che una parte limitata della nostra produzione». Per questo Sarkozy gira il mondo in veste di piazzista del nucleare civile e trova facilmente proseliti nel mondo arabo. L’Algeria ha firmato con Parigi un accordo di cooperazione sui prossimi venti anni. La Libia vuole acquistare un reattore per rifornire di elettricità un impianto di desalinizzazione. L’Egitto sogna di sviluppare grazie alla tecnologia francese una filiera capace di far fronte al 20 per cento del suo fabbisogno energetico. Stessa solfa per gli Emirati Arabi Uniti e la Giordania. L’Iran dovrà chiedere all’Eliseo per avere modo di arricchire il suo uranio. Persino l’Arabia Saudita, terra del petrolio, sarebbe in contatto con Parigi. Tanto il nucleare del domani sarà pulito, sicuro e soprattutto economico. La terza generazione di reattori si chiama Epr, European pressurized reactor, ed è già una realtà. Il primo cantiere di questo tipo ha visto la luce in Finlandia, nel 2005. A fine 2007, afferma lo stesso professor Buoalou, si contavano già 2 anni di ritardo sul programma dei lavori e un miliardo e mezzo di euro di perdite finanziarie. Inshallah!
Bruno Picozzi (da Rabat) Terra