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lunedì 11 gennaio 2010

ENERGIA, QUANTI SPRECHI. "INVESTIRE SULLA RICERCA"

Intervista A colloquio con Gaetano Borrelli, docente di Economia dell’innovazione. «Contrariamente a quanto si crede il nostro Paese è di gran lunga autosufficiente»

Mentre si acuisce lo scontro istituzionale fra Governo e Regioni sulla localizzazione delle centrali, si addensano ulteriori dubbi sull’effettiva opportunità economica ed energetica di investire in questo settore.
Incontriamo Gaetano Borrelli, ricercatore Enea e docente di Economia dell’innovazione e Valutazione delle politiche energetiche alla Sapienza di Roma.

Abbiamo bisogno del nucleare perché ci serve più energia? Non è esattamente così. Proprio come l’Occidente produce più cibo, che poi buttiamo, così produciamo più energia del necessario.
Contrariamente a quanto si crede, l’Italia è di gran lunga autosufficiente dal punto di vista energetico; le centrali sono, infatti, in grado di fornire una potenza massima di oltre 98 GW, mentre il Paese ha bisogno di 40/50 GW di potenza elettrica lorda istantanea.
Da alcuni anni a questa parte, causa la crisi, la richiesta di energia elettrica è pure in diminuzione.

Perché importiamo energia dall’estero, allora? L’Italia importa circa il 15% del proprio fabbisogno perché conviene. Le centrali atomiche francesi producono, per motivi di ottimizzazione tecnica, a ciclo continuo e la notte “svendono” la loro energia, che poi acquistiamo noi. E' una legge di mercato.

Le centrali nucleari ci consentirebbero di produrre energia più a buon mercato? Lo escluderei. E' palese che le economie di scala si realizzano costruendo molte centrali.

Alcuni obiettano, però, che produciamo energia da fonti che importiamo dall’estero: gas, petrolio, carbone. E' un’obiezione che non possiamo accogliere. Anche l’uranio dovrebbe essere importato. Poi, si tenga presente che, se in Europa ci fosse stato uno sviluppo del nucleare come è avvenuto in Francia, l’uranio sarebbe finito da trent’anni.

Il nucleare è un’energia pulita? Dal punto di vista delle emissioni di CO2 sì, almeno durante la fase di produzione di energia. Per il raggiungimento degli obiettivi 20+20+20 stabiliti dalla Commissione Barroso (entro il 2020 bisogna produrre un 20% di rinnovabili e ad avere un -20% di CO2, ndr), il nucleare non è stato considerato e un motivo ci sarà.

Vale la pena investire tutti questi soldi?
Direi di no: in termini di costi/ benefici, costa molto e non vi è la certezza di un buon raccolto, a meno che non si voglia investire sulla ricerca.
Con il referendum che abrogò il nucleare, si sospese anche la ricerca: quello fu un errore. Si potrebbe sostenere che il ritorno al nucleare sia un investimento in termini di ricerca: ma anche qui, ho la sensazione che si stia imboccando la strada sbagliata.
Se oggi iniziamo a costruire, fra 40 anni avremo centrali di terza, magari anche quarta generazione. Ma fra 30 anni, probabilmente, sarà pronta la fusione nucleare, che non utilizza l’uranio. All’Enea ci occupiamo di fusione, tra l’altro, e speriamo di ricevere finanziamenti.

A che serve fare centrali, allora?
Cantieri, posti di lavoro, stimolo per l’industria. La politica mette in moto processi economici. Il programma nucleare del nostro governo, lungi dal soddisfare un bisogno energetico, rendere l’energia più economica o innovare nella ricerca, è solo una politica keynesiana di stimolo. A vantaggio di “alcuni” gruppi industriali.

Ha senso puntare sulle rinnovabili?
Potrebbero non bastare, dicono gli scettici. Dal punto di vista degli usi civili, potrebbero bastare sicuramente. Produciamo un terzo dell’energia solare di Austria o Germania, con una quantità di giorni di esposizione solare pari al triplo. L’obiettivo dovrebbe essere l’uso razionale dell’energia associato al risparmio energetico. Abbiamo, ad esempio, centrali tradizionali molto efficienti dal punto di vista energetico, ma la rete non sembra essere all’altezza.

Alessio Postiglione da Terra

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