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venerdì 10 aprile 2009

Nucleare: la grande bugia

Marco Bersani esordiva dicendo che per prima cosa dovremo difenderci dal tentativo di «sequestrare la discussione». Ci chiederanno di diventare spettatori di una discussione fra tecnici, alcuni a favore del nucleare, altri contro.

È necessario invece «riprendersi la parola», il che comporta un «riprendersi le conoscenze». Dopo 22 anni, qualcuno ha deciso di ridiscutere la decisione presa dal popolo italiano. Questo può andar bene, perché in 22 anni le idee possono cambiare. Ma se tutti assieme si era deciso di no, non è possibile che oggi il presidente del consiglio decida il contrario da solo.

Il fatto che il nucleare sia oggi riproposto con le stesse motivazioni di 22 anni fa significa che il movimento antinuclearista non è riuscito a produrre un nuovo modello energetico, ammette Bersani. Ma quelle dei nuclearisti erano e restano «bugie», che il relatore provvede a confutare.

Prima bugia: il futuro è nucleare.

È uno strano concetto, se si considera che stiamo parlando di una tecnologia vecchia di 50 anni. Ma è la stessa Agenzia internazionale per l’Energia nucleare (Aiea) a dire che il contributo del nucleare alla produzione di energia nel mondo è appena il 16%. Nel 2030, secondo l’Agenzia, tale apporto scenderà al 13%, perché le centrali durano in media 25 anni (stanno cercando di prolungarne la vita fino ai 40 anni, ma è chiaro che ogni anno in più le renderà più pericolose). Il nucleare, infine, serve a produrre energia elettrica e, di conseguenza, non può in alcun modo sostituire l’energia prodotta attraverso i combustibili fossili.

ll nucleare non contribuirebbe dunque granché a ridurre le emissioni di anidride carbonica, responsabili del riscaldamento globale, anche perché, se il nucleare non emette CO2 in fase di produzione, non si può dire lo stesso riguardo alla costruzione e alla dismissione delle centrali, strutture che costituiscono l’esito di una filiera che prevede la produzione e l’uso di materiali quali gli acciai speciali e lo zirconio, tutta roba da smaltire dopo 25-40 anni.

Seconda bugia: il nucleare è economicamente competitivo.

Ovvero costerebbe poco e in più permetterebbe una diminuzione della dipendenza dall’estero. Il patto fra Berlusconi e Sarkozy prevede la costruzione di centrali Epr, un modello che non è ancora attivo in nessun Paese del mondo. In Francia, attualmente, le centrali Epr in costruzione sono due. I costi sono lievitati enormemente perché i cantieri sono stati bloccati molte volte, a causa di numerosissime infrazioni alle procedure di sicurezza. La spesa per centrale, in Francia, è già di 4,5 miliardi di euro. In Finlandia la centrale Epr in costruzione ha accumulato per ora 3 anni di ritardo (e costi di più di 5 miliardi) perché i lavori sono stati fermati per circa 2100 infrazioni alle procedure di sicurezza.

Le due società coinvolte si stanno imputando reciprocamente la responsabilità delle violazioni in tribunale. Il nucleare italiano costerebbe 28 miliardi per 4 centrali (14 li metterebbe la Francia e 14 l’Italia), vale a dire 7 miliardi a centrale! Si tratta, già in partenza (senza considerare cioè eventuali rallentamenti) di una cifra più alta di quelle pagate da francesi e finlandesi.

Per quanto riguarda la dipendenza dall’estero, essa diminuirebbe, in effetti, se fosse stato scoperto l’uranio in Italia. Nella realtà, la dipendenza dall’estero non diminuisce, ma cambia: dipenderemo da Canada e Australia, paesi “ricchi” di uranio.

Ma quanto uranio c’è nel mondo?

Si stima che nel 2035 sarà finito.

Anche ammettendo di poter scoprire nuovi giacimenti, rischiamo comunque di investire in una tecnologia che alla metà di questo secolo sarà già finita.

Siamo dentro una follia.

Qualcuno dice: ma già oggi importiamo energia a basso costo dalle centrali nucleari francesi. L’energia nucleare, tuttavia, non è conveniente per il cittadino. La bolletta energetica è infatti più o meno la stessa in Francia (58 centrali nucleari), in Germania (19 centrali) e in Spagna (4 centrali), ciò che significa che la quantità di energia nucleare prodotta non incide in maniera significativa sul prezzo della corrente. La Francia vende energia a basso costo perché l’energia nucleare non è modulabile: una centrale nucleare funziona continuamente a pieno ritmo, indipendentemente dalle esigenze “orarie” del Paese. 12 delle 58 centrali francesi producono energia in più e devono smaltirla. La vendono a basso costo per non disperderla.

Terza bugia: il nucleare è sicuro.

Secondo Berlusconi, l’Epr francese appartiene alle centrali nucleari di quarta generazione, quelle intrinsecamente sicure. Si tratta in realtà d’impianti di terza generazione, fatti sul modello di quelli di prima e seconda generazione.

Sono meno a rischio?

Sì, naturalmente, perché rispetto a qualche anno fa la tecnologia è andata avanti. Ma, in caso d’incidente, sono dalle 4 alle 7 volte più pericolose, perché sono molto più grosse. Il che, tra l’altro, impedisce di riattivare le “vecchie” centrali italiane, che dovranno essere smaltite, perché troppo piccole.

Nel 2005 la Commissione europea ha messo in piedi un gruppo di scienziati per sviluppare centrali nucleari intrinsecamente sicure. Un rapporto del 2007 dice che si potrà realisticamente parlare di centrali di quel tipo solo nel 2040, quando l’uranio sarà già pochissimo. Per di più, gli scienziati stanno ancora studiando 7 modelli diversi, segno che non hanno ancora ben chiaro da che parte cominciare.

Manca, oltretutto, la necessaria trasparenza delle informazioni.

In appena 55 anni d’esistenza delle centrali nucleari gli incidenti conosciuti d’intensità media o grave sono già 135 e si sono verificati a tutte le latitudini: negli Stati uniti, nell’ex Unione sovietica, in Gran Bretagna, in Francia, in Giappone. Qualche incidente c’è stato anche in Italia. Un accordo del 1959 tra l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) e l’Aiea, la Risoluzione WHA, sottopone qualunque intervento dell’Oms in materia di effetti sulla salute delle radiazioni ionizzanti al veto dell’Aiea e prevede che in caso di incidenti lievi o anche gravi l’Aiea possa concordare con l’Oms misure per mantenere confidenziale il carattere delle informazioni. Il rapporto finale dell’Oms sul disastro di Chernobyl parlava di 50 morti e 4 mila tumori. Ci sarebbero invece un milione e 600 mila contaminati, 200 mila dei quali sarebbero già morti.

Quarta bugia: non ci sono alternative.

Il nucleare costituirebbe un’energia cui non sarebbe pensabile rinunciare in tempi di riscaldamento climatico. Ma il nucleare non è un’alternativa e non può essere una soluzione all’emergenza: il primo kw/h prodotto dalle centrali nucleari italiane dovrebbe vedere la luce nel 2020, mentre il Paese ha ben altri obiettivi da raggiungere per quella data, come previsto dall’Unione europea.

Quinta bugia. La grande rimozione: storie di scorie.

I nativi indiani avevano inventato il principio per cui non si potevano prendere decisioni se non si conoscevano gli effetti che queste avrebbero prodotto fino alla settima generazione.

Il tempo di dimezzamento del plutonio è di 24.400 anni. 25 mila anni fa la Francia e la Gran Bretagna erano attaccate.

Se il ministro Scajola dice che in un anno troverà un deposito sicuro perché dovremmo starlo a sentire?

Dovremo spendere tantissime risorse per mettere in sicurezza le 300 mila tonnellate di scorie esistenti: è criminale pensare di produrre anche solo un grammo in più. Il movimento italiano che nel 1987 ha vinto contro il nucleare era uno fra i più forti del mondo. Oggi il nucleare viene riproposto con gli stessi argomenti: è segno che, nel frattempo, non siamo stati capaci di elaborare e di “imporre” un altro modello energetico. Nel frattempo, l’energia è stata liberalizzata e ridotta a una merce come tutte le altre, cosicché oggi non possiamo rivendicare un piano energetico nazionale.

L’Italia non ha fame di energia. Il nostro Paese ne produce 88 mila MW/anno, a fronte di una domanda di 56 mila. Se importiamo energia dall’estero è perché il nostro sistema produttivo funziona al 50%. A questo proposito, la liberalizzazione dell’energia costituisce un guaio: perché un privato dovrebbe aver interesse a efficientare gli impianti, quando guadagna sul massimo consumo?

La posta in gioco è, in effetti, più ampia del semplice rifiuto del nucleare. Si tratta infatti del modello sociale che abbiamo in mente: a un modello termico di produzione dell’energia, centralizzato, fondato sui grandi impianti e che comporta una militarizzazione della società, dobbiamo contrapporre un’idea alternativa.

Le nuove centrali saranno protette dall’esercito e le nuove regole prevedono dai 5 ai 15 anni di detenzione per chi realizza un blocco stradale durante i lavori. Anche le aree militari, inoltre, potranno essere «valorizzate» economicamente, dotandole di centrali. A questa visione della società bisogna reagire riflettendo sulla natura dei beni comuni primari, dei quali dobbiamo riappropriarci. L’uso delle fonti rinnovabili permette di democratizzare il processo. Il sole sta dappertutto, il petrolio e l’uranio no.

Il movimento contro il nucleare dovrà dunque collegarsi a quelli per la riduzione dei rifiuti, a quelli per l’acqua. Il nucleare ha bisogno di enormi quantità di acqua per raffreddare gli impianti. La Francia usa allo scopo il 40% delle sue risorse idriche. Ma acqua e rifiuti sono beni che possono essere gestiti territorialmente in forma partecipativa e immediata. Non così l’energia, finché si tratta di gas e petrolio, o magari uranio; sì, se diventa acqua, sole, vento.

Dobbiamo evitare di commettere l’errore di lasciare che la battaglia contro il nucleare sia appannaggio delle popolazioni presso cui le centrali saranno costruite. Dobbiamo rendere inutili i modelli energetici che non siano basati sulle energie rinnovabili e sul risparmio energetico. Dobbiamo informarci e diventare piccoli nuclei di consapevolezza.

da agoravox.it

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