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giovedì 11 febbraio 2010

L'ATOMO NELLO STIVALE


Il governo approva il decreto che fissa i criteri per il ritorno dell'atomo nel nostro Paese. Ma sui siti è ancora mistero

Nucleare sì o no. L'Italia si interroga, ma non è un referendum democratico, come quello del 1987, oggi impietosamente stracciato.
Lo spirito che motiva le due opposte posizioni è piuttosto dettato delle contingenze economiche e politiche, con le importanti elezioni regionali alle porte e le "moderne" scelte energetiche da compiere. Comunque si guardi la questione, questo governo ha dato ampia prova di voler passare sopra a tutto e a tutti, alla storia del Paese, alla volontà degli amministratori e dei cittadini, di adesso, di allora e soprattutto del futuro prossimo, già colorato del grigio di un reattore nucleare.
Se la prima pietra fisica sarà posta tra tre anni, nel 2013, e l'avvio alla produzione di energia nel 2020, un pesante e fondativo passo è già arrivato: ieri, con l'approvazione in via definitiva, da parte del Consiglio dei ministri, del decreto che disciplina la localizzazione, la realizzazione e l'esercizio di impianti di produzione di energia elettrica nucleare in Italia.
A sentire le parole del ministro dello Sviluppo economico Scajola, riprese in parte anche dalla sua corrispettiva all'Ambiente Stefania Prestigiacomo, «il provvedimento si caratterizza per due aspetti: la trasparenza e il rispetto assoluto della sicurezza delle persone e dell'ambiente». Una garanzia che rimane sulla carta, indimostrabile e quasi canzonatoria per quelle amministrazioni locali violentate dalla scelta coatta dell'atomo.
Sono già 15 le Regioni che si sono schierate contro la legge che rilancia il nucleare nel nostro Paese, mentre 11 di loro (Basilicata, Calabria, Emilia Romagna, Umbria Lazio, Puglia, Liguria, Marche, Piemonte, Molise e Toscana) l'hanno impugnata per incostituzionalità e aspettano l'udienza calendarizzata per il mese di giugno.
Intanto, quasi rispolverando il quesito referendario, Legambiente ha posto la domanda «una centrale nella mia Regione, sì o no?» ai candidati alle prossime elezioni regionali. Risultato: ben 23 esponenti di tutti gli schieramenti politici, dalla Lega al Pd, passando per l'Udc e il Pdl hanno dato parere negativo. Nove politici in corsa ancora non si esprimono e solo 6 dicono chiaramente di appoggiare l'opzione atomica. Tra questi il magnanimo presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, d'accordo a costruire centrali, ma non nella sua Regione. Buffa posizione ricalcata anche da Rocco Palese, candidato Pdl alla presidenza della Puglia, che dice sì al ritorno al nucleare, ma no ad una centrale e ad eventuali parchi tecnologici di stoccaggio di rifiuti radioattivi nel tacco d'Italia.
Un piede in due staffe per non inimicarsi il consenso popolare da una parte, e non mostrarsi refrattari al dirigismo governativo dall'altra.
Fatti salvi questi esempi di "buona politica", la mappa appare abbastanza eloquente e non sembra preludere certo a quella «ampia partecipazione delle Regioni, degli enti locali e delle popolazioni», promessa nel decreto ieri approvato. «Un fatto grave e con aspetti di incoerenza istituzionale», ha dichiarato il presidente della conferenza delle Regioni, Vasco Errani, che introduce un altro grande interrogativo: «come mai si lavora così velocemente per varare i criteri, ma si rimanda a dopo le elezioni regionali la scelta dei siti? E perché il Governo non ha voluto attendere il giudizio della Corte costituzionale, contribuendo così ad un clima di grande incertezza e confusione su un terreno strategico per lo sviluppo di una seria politica energetica nel nostro Paese?».
Alla faccia della trasparenza decantata da Scajola. Le stesse criticità sono rilevate dal presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, che parla di vera e propria truffa, poiché l'esecutivo, temendo il boomerang elettorale, finisce per negare ai cittadini italiani il diritto di sapere se nel loro territorio ci saranno impianti atomici.


Diego Carmignani da Terra

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