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martedì 3 novembre 2009

Cunsky o no, il traffico di rifiuti è l’eredità del vecchio nucleare

ECOMAFIE. Sono 25, secondo i Lloyds di Londra, le navi affondate nelle acque del Mediterraneo, 40 secondo le Procure. Dal passato giungono conferme di come il problema delle scorie sia la questione ancora irrisolta del ritorno all’atomo.

La protesta calabrese per la presunta esistenza di scorie radioattive nel mare di Amantea e sull’Aspromonte richiama i pubblici decisori a risolvere le questioni legate ai rifiuti pericolosi. Secondo i Lloyds di Londra nel Mediterraneo sono “affondate” 25 navi che necessitano di rigorosi approfondimenti d’indagine. Molteplici sono le “stranezze” dei naufragi e appare fondato il sospetto di traffici di rifiuti pericolosi. Secondo varie Procure, le navi “naufragate” sarebbero 40. Ogni anno scompaiono 8 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi. A ciò si aggiunge il traffico criminale di scorie nucleari, che può contare su sofisticati strumenti come il Dodos (Deep ocean data operating), come si apprende dall’audizione in commissione parlamentare del procuratore di Trieste.

Una specie di siluro che contiene 246 a repentinità con la quale è stato possibile escludere che il relitto trovato sui fondali del mare di Cetraro fosse una “nave dei veleni”. Auspichiamo che sia profuso un pari impegno per rispondere ai pluridecennali e inquietanti enigmi di navi affondate e di cui non si è saputo più nulla: “Anni”, “Mikigan”, “Euroriver”, “Alessandro I”, “ Koraline” e l’inquietante “Riegel”. Tutte navi da carico, vecchie e naufragate in fondali profondissimi del Mediterraneo. Il Mar Ionio ha punti profondi 1.500 metri. Due commissioni parlamentari d’inchiesta sul ciclo illegale dei rifiuti, più una terza per l’assassinio di Ilaria Alpi, non hanno consentito l’acquisizione della verità. Sono venti anni che si cerca di dare una soluzione alle scorie radioattive condizionate, di prima e seconda categoria, attraverso la costruzione di un deposito superficiale. Il gruppo di lavoro misto Regioni-Stato, costituito con decreto dell’allora ministro Bersani, nel febbraio 2008, aveva il compito di individuare procedure e metodologie per la scelta del sito unico del deposito per i materiali radioattivi. Ha concluso i suoi lavori nel settembre dello scorso anno.

Lavoro che attinge a quello del 1999 della commissione bicamerale presieduta dal Verde Scalia. Sul tavolo del ministro Scajola è arrivato l’elenco delle aree idonee per la costruzione del deposito. Il ministro è impegnato molto con i reattori Epr da costruire e poco con l’eredità del vecchio nucleare. Eppure ogni anno il settore medico produce scorie radioattive per 500 tonnellate. Stoccate nel sito della Casaccia, che entro quattro anni non potrà accogliere nemmeno un kg in più. A Trino ci sono ancora in raffreddamento 47 barre di uranio irraggiato, che contengono plutonio. Bisogna togliere l’acqua in cui nuota il pescecane della ecomafia. Ridurre i costi di stoccaggio dei rifiuti pericolosi, realizzare il deposito superficiale e modificare la normativa. Assurdo e incredibile che il legislatore non abbia modificato la norma che rende inapplicabi le qualsivoglia aggravio per traffico di rifiuti radioattivi.

La norma (art. 260 T.U.), infatti, parla di una generica “alta radioattività” applicata ai rifiuti pericolosi (sic!). I rifiuti radioattivi, invece, sono assoggettati al dlgs 230/1995. Appare comunque incomprensibile che finanziamo l’attività di disarmo nucleare e chimico della Federazione russa con 360 milioni di euro per ogni comparto e con un ulteriore residuo di 280 milioni di euro ancora da destinare, e poco è stato fatto per risolvere il problema delle scorie radioattive e del traffico illecito dei rifiuti pericolosi. Un governo russo che, nel 1993, ammise di aver sversato rifiuti liquidi radioattivi nel Mar Artico e 15 reattori nel Mar di Kara.

Erasmo Venosi da Terra

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